Gavin
La moquette rossa, il soffitto poco più alto di due metri e il profilo dorato che segnava il passaggio da soffitto alla parete rendevano estranea la stanza circolare che avevo di fronte a me, quasi non fossi più nella stessa casa. La parete, in realtà, era stata scavata, creando delle nicchie in cui erano incastrati degli scaffali colmi di libri.
Nel centro della stanza, c’era un’armatura argentea che luccicava sotto la forte luce che due faretti le puntavano addosso. Era molto più grande di me e di sicuro era appartenuta a mio zio che era sempre stato un uomo alto e ben piazzato prima della malattia. Sulle placche pettorali era stata attaccata una busta marrone; sembrava molto antica e aveva uno strano simbolo che rassomigliava a due draghi che si mordevano la coda a vicenda. Aprii la busta e trovai un nuovo messaggio scritto a mano da mio zio:
Ben fatto, Jason!
Sapevo che saresti riuscito a capire tutti gli indizi e a trovare questo posto. Perdona la riservatezza, ma dovevo essere sicuro che fossi tu ad aprire la porta e non quel pigrone di mio figlio. Sapevo quanto questa porta fosse al centro dei tuoi pensieri fin da quando eri piccolo e che avresti fatto di tutto pur di riuscire ad aprirla.
Tuttavia, se stai leggendo questo, io ora sono morto.
Quello che hai davanti è una parte della mia vita che è stata nascosta a chiunque, anche a tua zia. Non potevo rischiare che qualcuno scoprisse questo luogo. Purtroppo non abbiamo la stessa taglia, ma confido che il buon Gavin saprà forgiarti un’armatura adeguata. Premi il libro nero nella libreria centrale. Ti troverai davanti delle scale. Scendile senza esitazione e sbrigati.
Lanchestry è in pericolo!
Sir Martin Clannes
Avrei pensato che tutto questo fosse uno strano scherzo di mio zio: inventarsi un bizzarro nome e uno strano mondo per prendersi gioco di me. Qualcosa però, forse il simbolo sulla busta o la sottolineatura dell’ultima frase, mi fecero intuire che questa volta non era la solita invenzione di mio zio; qualcosa di vero c’era. Farsi fare un’armatura – che sembrava del tutto autentica – era una spesa decisamente fuori luogo per un semplice gioco.
Cercai con gli occhi il libro di cui parlava mio zio nella lettera e lo premetti. La libreria davanti a me scricchiolò, cominciò a muoversi verso il muro e una folata d’aria umida mi investì in pieno. Lo scaffale si era aperto completamente e davanti avevo solo un’oscurità ignota. Andai in macchina per prendere una mini torcia e tornai nella sala dell’armatura. Accesi la torcia e la puntai verso l’apertura dietro la libreria: vidi una parete di mattoni color rosso scuro che sembrava scendere verso sinistra.
Scesi con cautela: mi fidavo di mio zio e sapevo che non mi avrebbe mai messo volutamente in pericolo, ma non avevo idea di cosa mi aspettasse una volta terminati gli scalini. Ero su una lunga scala a chioccola che mi portò davanti a un’altra porta di legno. Tirai il chiavistello e aprii la porta che mi introdusse in un’umida grotta. Mi voltai, ma la porta si era chiusa ed era sparita nella parete rocciosa. Non potevo tornare a Leanstone, quindi esplorai la grotta. Camminai per una manciata di minuti, prima di riuscire a vedere una luce e l’apertura che mi portò davanti a un mondo totalmente diverso da quello che mi aspettavo.
Sapevo di essere sceso di parecchi metri e mi aspettavo di essere nel ventre della montagna. Invece, davanti a me c’era un muro formato da quelli che sembravano altissimi pini. L’ingresso della grotta era separata dalla pineta da un’ampia radura circolare che sembrava tenere lontani i pini dall’ingresso da cui ero arrivato. Mentre mi guardavo intorno per capire il da farsi, vedi una flebile luce tra gli alberi. Misi la mini torcia in tasca e mi incamminai.
Mentre mi avvicinavo, la flebile luce si rivelò essere una lanterna appesa a un rudimentale lampione senza lampadina che indicava l’inizio di un sentiero in terra battuta che si snodava tra i grandi fusti robusti. Mi addentrai nel fitto del bosco seguendo le luci delle lanterne poste a intervalli irregolari sul percorso.
Dopo diverso tempo in cui l’unico suono, oltre al rumore delle mie scarpe che schiacciavano la terra, era quello delle foglie più alte mosse dal vento, iniziai a sentire un suono differente, un tintinnio, come di metallo che batteva. Era insolitamente ritmico e cadenzato e capii che non era un suono naturale: qualcuno stava battendo del ferro come facevano i vecchi maniscalchi.
Giunsi al termine del bosco e vidi che il sentiero curvava fino a raggiungere una piccola capanna con un tetto in paglia tutta arruffata. Il tintinnio si era fatto più forte, ma ancora non riuscivo a scorgere chi lo stava producendo.
Mi avvicinai con cautela alla casa, mi schiacciai contro il muro e sbirciai dietro l’angolo: un grosso omone con una folta chioma castana mi dava le spalle e brandiva un pesante martello che schiantava su una grossa incudine. Poggiò il martello sul tavolino e infilò la spada arancione che stava battendo in una grossa tinozza. L’acqua lanciò un lungo sibilo quando il metallo incandescente si immerse e una grossa nuvola bianca di vapore si alzò dal recipiente. Il sibilo fu inaspettato ed emisi un gemito.
L’omone si voltò di scatto mentre manteneva immersa la spada ancora sibilante. I suoi occhi marroni erano profondi, ma non lasciavano trasparire rabbia, piuttosto curiosità. Anche la bocca, in mezzo a tutta quella barba castana, non aveva un’espressione di rabbia, ma sorpresa. Restava lì a fissarmi incuriosito senza muoversi. Si mosse solo quando la spada smise di sibilare e il vapore aveva smesso di sollevarsi dalla tinozza.
Appoggiò la spada su una rastrelliera, si mise le grosse mani callose sui fianchi e, con una voce profonda, esordì con un semplice «Salve».
Rimasi immobile, indeciso se rispondere al saluto o fuggire il più velocemente possibile verso la grotta.
«Ehi, dico a te!» continuò, sollevando l’indice per puntarlo verso di me e sorridendo. Gli occhi erano ora solo due piccole fessure e le guance rosse spuntavano da sopra i peli della barba come due colline illuminate dalla luce purpurea del tramonto.
«Forza, vieni avanti! Sono grosso, ma non mangio le persone. Non fino a che Angus sfornerà il suo buonissimo pane. Io mi chiamo Gavin e sono il fabbro reale di Barleigh. E tu… A giudicare dai tuoi abiti devi essere un visitatore dalla grotta, come sir Martin.»
Mi feci coraggio e uscii da dietro il muro. Quell’uomo sembrava davvero amichevole e gentile. E poi aveva nominato Sir Martin, lo stesso nome sul biglietto che avevo trovato nella stanza rossa.
«Conosceva mio zio?»
«Conoscevo? Stai insinuando che sir Martin è forse morto?»
«Purtroppo sì. È morto pochi giorni fa.»
«Questa notizia mi rammarica molto. Quell’uomo era di animo nobile.»
«Sì, lo era davvero. Io mi chiamo Jason e Carl – o meglio, sir Martin – era mio zio.»
«Jason?» disse, alzando un sopracciglio esageratamente folto che gli diede un aria buffa. «Beh, non ho mai sentito un nome tanto bizzarro!»
«Bizzarro?»
«Certamente. Jason» rise di gusto «che nome strambo.»
«Siete tutti così poco accoglienti da queste parti?»
«No, no.» disse tra le risa. Il fabbro tentò di ricomporsi con scarsi risultati.
«Vieni, entriamo in casa.»
Si tolse il grosso grembiule grigioverde che portava in vita e lo lanciò su una grossa incudine. Aprì la porta della casa mentre stava ancora ridacchiando e, non appena ebbe varcato la porta, urlò: «Mairead!»
Da un’altra stanza giunse una graziosa donna dai lunghi capelli biondi distribuiti in grossi boccoli che le arrivavano fino a metà addome. Indossava una semplice tunica bianca e un grembiule, sporco di sangue.
«È questo il modo di rivolgerti a tua moglie, Gavin Dubhach?» urlò lei, in risposta al marito, mentre si asciugava le mani in un panno. Posò gli occhi su di me e la sua espressione mutò.
«Oh, salve» disse, sfoggiando un gran sorriso che la rese ancora più bella di quanto non fosse quando era entrata nella stanza con un’espressione furiosa.
«Ho urlato il tuo nome perché non so mai dove sei. So bene che la mia amata non merita questo trattamento, ma abbiamo un ospite.»
«Lo vedo. Ma questo» disse voltandosi verso Gavin «è un altro ottimo motivo per non urlare il mio nome come se fossi uno di quei rozzi di Gardeter.»
«Hai ragione mia amata.»
Quell’uomo grande e grosso era stato ammansito da una donna molto più piccola di lui e ora se ne stava a capo basso, quasi contemplasse la terra che stava calpestando.
«Benvenuto, straniero. Sei anche tu un visitatore dalla grotta, come sir Martin?»
«Sì, signora. Sir Martin era mio zio.»
«Era?»
«Sir Martin è morto, Mairead.»
«Oh.» disse la donna accigliandosi. «Mi spiace molto. Ma ora che ne sarà di Bede?» chiese voltandosi verso Gavin.
«Non temere Mairead, troveremo il modo per salvare il regno.» la confortò Gavin prendendola tra le sue grosse braccia. «Lo troveremo.»
Rimasi a guardarli per un po’ prima di interrompere quell’abbraccio consolatorio.
«Ecco, a tal proposito. Mio zio mi ha lasciato una lettera in cui diceva che Lanchestry è in pericolo.»
«Lanchestry, in verità, non è in pericolo. La nazione gode di buona salute e il nostro re è giusto, ma i raccolti negli ultimi anni sono spesso stati distrutti da due draghi.»
«Draghi?»
«Sì. Ne parlavano leggende così antiche che ormai nessuno credeva davvero fossero esistiti. Poi campi bruciati, bestiame rapito o mangiato durante la notte e hanno convinto la gente che forse le vecchie leggende non erano solo storie di fantasia. La conferma giunse un giorno, quando Hidth, un contadino che abita non lontano da qui, raggiunse alcune guardie che passavano vicino alle sue proprietà; era spaventato e tremava, quasi troppo per parlare, ma riuscì a far capire ai soldati che qualcosa non andava. Le guardie lo seguirono e, dietro una collinetta, trovarono i due draghi che combattevano nel campo di grano di Hidth, dopo averlo bruciato coi loro soffi. La voce si sparse e da allora le cose sono molto peggiorate. I draghi sembrano litigare, ma a farne le spese sono i contadini di Lanchestry.»
«E per cosa litigano?»
«Nessuno lo sa. Sono stati quieti e in tranquillità per anni, ma ormai sono due anni che lottano interminabilmente. I campi sono quasi interamente incoltivabili, il bestiame rimasto è molto magro e i contadini a stento riescono a sostenere la richiesta delle città. I tre Re e le due Regine del paese sono riusciti a tenere il popolo tranquillo per ora, ma la situazione si fa sempre più tesa. Se Letif e Ghenda continueranno la loro lotta, tempi bui aspettano Bede. Sir Martin aveva in mente una soluzione, ma da morto non ci potrà aiutare.»
Mairead si schiarì la gola con un colpo di tosse. Quando Gavin la guardò, lei inclinò la testa verso di me. Gavin spalancò gli occhi e rimase immobile.
«Diglielo. Se è il nipote di sir Martin deve sapere tutto quello che succede.»
Gavin sospirò.
«Hai ragione Mairead.» Fece una pausa, come per raccogliere i pensieri e trovare le parole giuste e poi raccontò: «Pochi giorni fa alcune guardie si sono fermate a parlare davanti alla fornace che ho in città. Discutevano delle recenti scorribande di Letif sulle montagne della regione di Feldmill, a ovest. Mentre parlavano, uno dei due si è fatto scuro in volto e, dopo aver controllato che nessuno potesse sentirli, ha sussurrato all’altro che tra le fila dell’esercito reale si vocifera che ai draghi siano stati rubati degli antichi monili o artefatti e che i due si siano accusati a vicenda. Sono solo voci, però e nessuno sa quale sia il vero motivo.»
Gavin guardò Mairead che annuì.
«Nella lettera, mio zio ha detto che io posso aiutare Lanchestry, ma non ho idea di cosa fare. Mi ha detto di venire a cercarti e chiederti di farmi un’armatura, ma poi non ho idea di cosa fare. Non ho mai fatto a botte nemmeno a scuola, lottare contro un drago è impensabile!»
«Non preoccuparti, ragazzo. Anche sir Martin non aveva idea di cosa fare, ma un giorno tornò dalla grotta con un’idea.»
«Quale idea?»
«Non la conosco, purtroppo.» rispose, accigliandosi. «Mi chiese se, in qualità di fabbro dell’esercito, potessi procurargli un appuntamento privato col re. Non fu facile, ma chiedendo al capo della Guardia reale riuscii a far parlare sir Martin con re Thelnet. Il consiglio fu privato: si ritirarono in una stanza, senza permettere ad altri di ascoltare. Una volta usciti, sir Martin e re Thelnet si scambiarono una stretta di mano e si salutarono. Quando tornammo qui mi salutò e fu l’ultima volta che lo vidi.»
La sua voce era rotta dall’emozione. Maired era seduta in un angolo ed era scoppiata in un silenzioso pianto mentre Gavin parlava.
Stavo per chiedere a Gavin cosa avremmo dovuto fare, quando dalle finestre si sentì il suono lontano di un campanaccio. Maired corse verso la porta con gli occhi ancora in lacrime e uscì, lasciando la porta spalancata dietro di lei. Sentii un sommesso «Madre!» urlato da una voce e nient’altro.
Il rumore del campanaccio si faceva sempre più forte, accompagnato da un legnoso cigolio. Poco dopo, i due suoni si fermarono e dalla porta entrò un ragazzo: era piuttosto tarchiato, con i capelli bruni e sembrava avere la mia età.
«Gwyn! Finalmente sei tornato.»
«Scusa, padre. Cedric non aveva le zucchine al bancone, quindi ho dovuto aspettare il carico di metà mattina. Sono piuttosto grinzose, ma sono le migliori che potesse darmi.»
«Capisco. Mettile pure in cucina, poi terminerò di cucinare la zuppa.»
«Perché mamma è scappata di casa?»
«Perché sir Martin, un vecchio amico, è morto, Gwyn.»
«Sir Martin?»
«Sì. Forse non lo ricordi, è passato molto tempo dall’ultima volta che l’abbiamo visto. Era un caro amico e, forse, l’unico che avrebbe potuto risolvere il problema dei draghi.»
«Oh, capisco. Devo andare a cercarla?»
«No. Dev’essere andata al vecchio laghetto. Lasciamola da sola con i suoi pensieri. Quando sarà quasi il tramonto, se non sarà tornata, andremo a cercarla.»
«D’accordo.»
Gwyn rimase accigliato mentre portava i sacchi pieni di frutta e verdura dal carretto in cucina. Poi, mentre portava l’ultimo sacco, mi vide ed ebbe un sussulto.
«Ah! Non ti avevo visto! Chi sei?»
«Molto piacere» risposi allungando la mano «io mi chiamo Jason. Sono il nipote di sir Martin.»
Gwyn rimase immobile a fissare me e la mia mano mentre con entrambe le braccia teneva il pesante sacco di iuta. Ritrassi la mano, consapevole che, con le braccia così occupate, non mi avrebbe mai stretto la mano. Portato l’ultimo sacco, mi fece un gesto invitandomi a seguirlo fuori casa. Titubante lo seguii e lo vidi prendere una grossa corda. Rimasi bloccato dalla paura mentre si avvicinava tenendo in mano la fune con uno sguardo inespressivo. Chiusi gli occhi attendendo che mi legasse. Tuttavia, non successe niente. Riaprii gli occhi e vidi Gwyn che mi porgeva la corda.
«Prendi questa. Dammi una mano a legare il carretto dietro la fornace.»
Ancora incredulo, presi la corda e lo aiutai a portare il carretto di legno dietro la casa e lo legammo saldamente.
Il cielo si stava tingendo di rosa e Maired uscì dal bosco di pini. Aveva gli occhi rossi e gonfi per il lungo pianto e il suo vestito aveva l’orlo sporco di fango. Quando vide Gwyn lo abbracciò amorevolmente e tornò in casa per cambiarsi il vestito.
La zuppa cucinata da Gavin era davvero squisita, ma mi trattenni dal chiedere una seconda porzione: in quanto ospite, mi avevano riservato una prima porzione decisamente abbondante, nonostante le mie proteste per avere tutti porzioni uguali.
«Domani» esordì improvvisamente Gavin mentre cenavamo «partiremo per andare a palazzo. Proveremo a farti incontrare il Re, sperando che sia abbastanza di buon umore per accettare “È il nipote di sir Martin” come motivazione per averti a colloquio. Ci serviranno diverse provviste e due teli dove poter dormire. Prenderemo il vecchio carretto; è un po’ malandato, ma ci permetterà di portare più cose e potremo dormire su qualcosa di rigido, nel caso non trovassimo un luogo ideale per la notte. Ne approfitterò anche per portare in città le armature e le armi della Guardia reale che ho già riparato.»
«Gli serviranno anche degli altri vestiti» disse Gwyn indicandomi con la testa, mentre riempiva un altro cucchiaio con la zuppa.
«Hai ragione, non può certo viaggiare per la regione con quei pantaloni blu.»
Rimase pensoso per un po’, squadrandomi per bene. «Prenderai qualche vestito di Gwyn. Non siete grossi uguali, ma rimboccando un po’ maniche e pantaloni dovrebbero andare bene.»
Gwyn non protestò e continuò a mangiare.
Terminata la zuppa, Gwyn mi propose di uscire un po’ a goderci il fresco della brezza estiva. Nel cielo completamente terso brillavano migliaia di stelle e la radura davanti alla casa, così come la foresta di pini, era illuminata dalla forte luce della luna piena. Tra l’erba volavano le lucciole, che coi loro richiami luminosi cercavano un partner e segnalavano l’inizio della stagione più calda dell’anno.
«Quanti anni hai?» mi chiese improvvisamente Gwyn, mentre eravamo sdraiati nel prato.
«19. Tu?»
«22.»
Il silenzio era rotto solamente dal canto dei grilli e dal tubare delle civette.
«Puoi raccontarmi di sir Martin?» mi chiese.
«Certo. Sir Martin era mio zio. Io però non l’ho mai chiamato sir Martin; anzi, nessuno nel mio mondo lo chiamava così. Aveva tanti nomi: noi della famiglia lo chiamavamo Carl, mentre in altri ambienti era noto come Marcel N. Tannis.
«Era un brav’uomo. Era mio zio in quanto fratello di mio padre e sono sempre stati in buoni rapporti. Quando ero piccolo, passavo le estati in una casa di montagna, la stessa da cui sono arrivato in questa regione. Gli piaceva giocare con le persone, ma non per prendersi gioco di loro, voleva semplicemente che non impigrissero troppo la propria mente e che tenessero sveglio il cervello. “Se il cervello dorme, il corpo è come una scatola vuota” diceva sempre.»
Gwyn rimase in silenzio per un po’. Sembrava pensare a quello che avevo detto.
«Mi piacerebbe visitare il tuo mondo.» disse infine.
«Non lo so. Non sono sicuro tu possa uscire dal tuo mondo per venire nel mio.»
«Per quale motivo? Tu sei nel mio eppure nessuno ti ha invitato.»
«Mio zio ha detto che Bede ha bisogno del mio aiuto. Ho solo risposto alla sua richiesta.»
«Non abbiamo bisogno del tuo aiuto.»
«Tuo padre sembrava di giudizio diverso.»
«Mio padre si fida troppo delle altre persone. Dovrebbe essere più accorto con le persone con cui stringe affari e con le sue conoscenze.»
Rimasi in silenzio. Non sapevo quando sarei dovuto restare ospite di Gavin e della sua famiglia, ma creare attriti con chi mi stava offrendo un pasto e un tetto non mi sembrava una buona idea.
«Credo tu abbia ragione Gwyn. Tuo padre è un bonaccione e io ho sempre pensato che un fabbro dovrebbe essere più burbero. Comunque non preoccuparti. Non ho intenzione di essere vostro ospite per troppo tempo. Non sono nemmeno sicuro di essere la persona giusta per una cosa così importante come salvare un’intera regione.»
Gwyn grugnì in assenso e non disse altro.
Poco dopo si alzò un vento freddo che annunciava un temporale e tornammo in casa.
Maired e Gavin avevano imbottito una tela di lino con del fieno, preparandomi un piccolo giaciglio vicino alla cucina così da non dover dormire sul freddo pavimento in terra.
La mattina seguente venni svegliato dalle prime luci dell’alba che filtravano dal piccolo spazio tra la porta d’ingresso e il pavimento. Gavin si alzò poco dopo di me, andò in cucina e preparò della pappa d’avena come colazione. La servì in tavola e attendemmo il risveglio di Maired e Gwyn. La pappa d’avena era molto saporita, ma non riuscii a godermela fino in fondo: ero piuttosto preoccupato da quello che mi aspettava nelle ore seguenti. Ero lì solo da poche ore e già un tizio bonario ma sconosciuto voleva portarmi di fronte al suo re.
Non ebbi molto tempo per pensare alle mie preoccupazioni: Gavin mangiò la pappa d’avena velocemente, si alzò, prese un grosso sacco verde dalla cucina e mi diede una forte pacca sulla schiena mentre ancora stavo finendo di mangiare.
«Forza! Si parte!»