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call for artists: “viva palestina!” @ leoncavallo, milano, febbraio 2025

Milano, Leoncavallo, 15 febbraio _ VIVA PALESTINA ! تحیا فلسطین LEVE PALESTINA !

Al Leoncavallo S.P.A. di Milano una call for artists, un’esposizione e un’asta benefica per Gaza

@ LEONCAVALLO, Milano, in collaborazione con EMERGENZA GAZA e SOS GAZA
https://puntello.org/event/viva-palestina

https://www.instagram.com/poq_partigianinogniquartiere/p/DFUwsjDO0Sj/viva-palestina-serigrafia%EF%B8%8F15-febbraio-leoncavallo-saranno-presenti-3-postazioni-/

Le opere pervenute (entro il 10 febbraio) saranno battute all’asta per raccogliere fondi, solidarietà, resistenza e speranza per il popolo palestinese.

DETTAGLI:

https://www.anotherscratchinthewall.com/2025/01/20/al-leoncavallo-s-p-a-di-milano-una-call-for-artists-unesposizione-e-unasta-benefica-per-gaza/

C’è tempo fino al 10 febbraio per rispondere alla Call for Artists “Arti per Gaza” lanciata dalla rete di supporto EMERGENZA GAZA. La chiamata, aperta a tutte le tipologie di arte visiva, è un invito a presentare e donare la propria opera per l’asta benefit in sostegno della popolazione della Striscia di Gaza, che si terrà il 15 febbraio 2025 al Leoncavallo di Milano.

L’iniziativa si inserisce tra le attività della più ampia chiamata alle arti “VIVA PALESTINA! – تحيا فلسطين‎ – LEVE PALESTINA!” una raccolta fondi organizzata da POQ – Partigiani in Ogni Quartiere, in collaborazione con EMERGENZA GAZA e SOS GAZA, che si concretizzerà sabato 15 febbraio a partire dalle ore 17:00 e fino a notte fonda negli spazi dello storico Spazio Pubblico Autogestito milanese di via Watteau: 11 ore di arte, musica, serigrafia, banchetti, laboratori, convivialità e molto altro per esprimere la propria solidarietà, resistenza e speranza per il popolo palestinese.

Sulla scia del successo della prima edizione dell’asta “Arti per Gaza”dello scorso 14 aprile 2024 negli spazi del Laboratorio Occupato Kasciavit (LOCK), EMERGENZA GAZA rilancia la Call for Artists: per questa seconda edizione, l’esposizione di opere donate sarà allestita all’interno del Leoncavallo in occasione di “VIVA PALESTINA! – تحيا فلسطين‎ – LEVE PALESTINA!” per poi essere battute all’asta durante la stessa giornata.

L’intero ricavato della giornata sarà devoluto alle reti di supporto alla popolazione palestinese SOS GAZA ed EMERGENZA GAZA, attive nei territori della Striscia di Gaza e impegnate nel tentativo di garantire alla popolazione locale il maggior sostegno umanitario possibile attraverso la distribuzione di cibo e acqua, l’acquisto di cucine da campo, la fornitura di attrezzature mediche e molto altro.

COME RISPONDERE ALLA CALL FOR ARTISTS “ARTI PER GAZA”?

  • Scrivi a emergenzagaza24@gmail.com
  • Indica materiali, tecnica, dimensioni e tutte le informazioni necessarie per maneggiare ed esporre l’opera
  • Allega la foto dell’opera (se disponibile)
  • Allega un breve testo con la descrizione (sarà utilizzato durante la battuta d’aste per introdurre il tuo lavoro)
  • Indica la base d’asta di partenza per la tua opera, che non può in ogni caso superare i 50 euro
  • Indica come intendi consegnare l’opera: in caso di spedizione, ti invieremo tutti i dettagli per pianificare la consegna
  • Ricorda che la deadline è il 10 febbraio!

https://www.anotherscratchinthewall.com/2025/01/20/al-leoncavallo-s-p-a-di-milano-una-call-for-artists-unesposizione-e-unasta-benefica-per-gaza/

#art#arte#artePerGaza

Gavin

La moquette rossa, il soffitto poco più alto di due metri e il profilo dorato che segnava il passaggio da soffitto alla parete rendevano estranea la stanza circolare che avevo di fronte a me, quasi non fossi più nella stessa casa. La parete, in realtà, era stata scavata, creando delle nicchie in cui erano incastrati degli scaffali colmi di libri.
Nel centro della stanza, c’era un’armatura argentea che luccicava sotto la forte luce che due faretti le puntavano addosso. Era molto più grande di me e di sicuro era appartenuta a mio zio che era sempre stato un uomo alto e ben piazzato prima della malattia. Sulle placche pettorali era stata attaccata una busta marrone; sembrava molto antica e aveva uno strano simbolo che rassomigliava a due draghi che si mordevano la coda a vicenda. Aprii la busta e trovai un nuovo messaggio scritto a mano da mio zio:

Ben fatto, Jason!
Sapevo che saresti riuscito a capire tutti gli indizi e a trovare questo posto. Perdona la riservatezza, ma dovevo essere sicuro che fossi tu ad aprire la porta e non quel pigrone di mio figlio. Sapevo quanto questa porta fosse al centro dei tuoi pensieri fin da quando eri piccolo e che avresti fatto di tutto pur di riuscire ad aprirla.

Tuttavia, se stai leggendo questo, io ora sono morto.
Quello che hai davanti è una parte della mia vita che è stata nascosta a chiunque, anche a tua zia. Non potevo rischiare che qualcuno scoprisse questo luogo. Purtroppo non abbiamo la stessa taglia, ma confido che il buon Gavin saprà forgiarti un’armatura adeguata. Premi il libro nero nella libreria centrale. Ti troverai davanti delle scale. Scendile senza esitazione e sbrigati.
Lanchestry è in pericolo!

Sir Martin Clannes

Avrei pensato che tutto questo fosse uno strano scherzo di mio zio: inventarsi un bizzarro nome e uno strano mondo per prendersi gioco di me. Qualcosa però, forse il simbolo sulla busta o la sottolineatura dell’ultima frase, mi fecero intuire che questa volta non era la solita invenzione di mio zio; qualcosa di vero c’era. Farsi fare un’armatura – che sembrava del tutto autentica – era una spesa decisamente fuori luogo per un semplice gioco.
Cercai con gli occhi il libro di cui parlava mio zio nella lettera e lo premetti. La libreria davanti a me scricchiolò, cominciò a muoversi verso il muro e una folata d’aria umida mi investì in pieno. Lo scaffale si era aperto completamente e davanti avevo solo un’oscurità ignota. Andai in macchina per prendere una mini torcia e tornai nella sala dell’armatura. Accesi la torcia e la puntai verso l’apertura dietro la libreria: vidi una parete di mattoni color rosso scuro che sembrava scendere verso sinistra.
Scesi con cautela: mi fidavo di mio zio e sapevo che non mi avrebbe mai messo volutamente in pericolo, ma non avevo idea di cosa mi aspettasse una volta terminati gli scalini. Ero su una lunga scala a chioccola che mi portò davanti a un’altra porta di legno. Tirai il chiavistello e aprii la porta che mi introdusse in un’umida grotta. Mi voltai, ma la porta si era chiusa ed era sparita nella parete rocciosa. Non potevo tornare a Leanstone, quindi esplorai la grotta. Camminai per una manciata di minuti, prima di riuscire a vedere una luce e l’apertura che mi portò davanti a un mondo totalmente diverso da quello che mi aspettavo.
Sapevo di essere sceso di parecchi metri e mi aspettavo di essere nel ventre della montagna. Invece, davanti a me c’era un muro formato da quelli che sembravano altissimi pini. L’ingresso della grotta era separata dalla pineta da un’ampia radura circolare che sembrava tenere lontani i pini dall’ingresso da cui ero arrivato. Mentre mi guardavo intorno per capire il da farsi, vedi una flebile luce tra gli alberi. Misi la mini torcia in tasca e mi incamminai.

Mentre mi avvicinavo, la flebile luce si rivelò essere una lanterna appesa a un rudimentale lampione senza lampadina che indicava l’inizio di un sentiero in terra battuta che si snodava tra i grandi fusti robusti. Mi addentrai nel fitto del bosco seguendo le luci delle lanterne poste a intervalli irregolari sul percorso.
Dopo diverso tempo in cui l’unico suono, oltre al rumore delle mie scarpe che schiacciavano la terra, era quello delle foglie più alte mosse dal vento, iniziai a sentire un suono differente, un tintinnio, come di metallo che batteva. Era insolitamente ritmico e cadenzato e capii che non era un suono naturale: qualcuno stava battendo del ferro come facevano i vecchi maniscalchi.
Giunsi al termine del bosco e vidi che il sentiero curvava fino a raggiungere una piccola capanna con un tetto in paglia tutta arruffata. Il tintinnio si era fatto più forte, ma ancora non riuscivo a scorgere chi lo stava producendo.
Mi avvicinai con cautela alla casa, mi schiacciai contro il muro e sbirciai dietro l’angolo: un grosso omone con una folta chioma castana mi dava le spalle e brandiva un pesante martello che schiantava su una grossa incudine. Poggiò il martello sul tavolino e infilò la spada arancione che stava battendo in una grossa tinozza. L’acqua lanciò un lungo sibilo quando il metallo incandescente si immerse e una grossa nuvola bianca di vapore si alzò dal recipiente. Il sibilo fu inaspettato ed emisi un gemito.
L’omone si voltò di scatto mentre manteneva immersa la spada ancora sibilante. I suoi occhi marroni erano profondi, ma non lasciavano trasparire rabbia, piuttosto curiosità. Anche la bocca, in mezzo a tutta quella barba castana, non aveva un’espressione di rabbia, ma sorpresa. Restava lì a fissarmi incuriosito senza muoversi. Si mosse solo quando la spada smise di sibilare e il vapore aveva smesso di sollevarsi dalla tinozza.
Appoggiò la spada su una rastrelliera, si mise le grosse mani callose sui fianchi e, con una voce profonda, esordì con un semplice «Salve».
Rimasi immobile, indeciso se rispondere al saluto o fuggire il più velocemente possibile verso la grotta.
«Ehi, dico a te!» continuò, sollevando l’indice per puntarlo verso di me e sorridendo. Gli occhi erano ora solo due piccole fessure e le guance rosse spuntavano da sopra i peli della barba come due colline illuminate dalla luce purpurea del tramonto.
«Forza, vieni avanti! Sono grosso, ma non mangio le persone. Non fino a che Angus sfornerà il suo buonissimo pane. Io mi chiamo Gavin e sono il fabbro reale di Barleigh. E tu… A giudicare dai tuoi abiti devi essere un visitatore dalla grotta, come sir Martin.»
Mi feci coraggio e uscii da dietro il muro. Quell’uomo sembrava davvero amichevole e gentile. E poi aveva nominato Sir Martin, lo stesso nome sul biglietto che avevo trovato nella stanza rossa.
«Conosceva mio zio?»
«Conoscevo? Stai insinuando che sir Martin è forse morto?»
«Purtroppo sì. È morto pochi giorni fa.»
«Questa notizia mi rammarica molto. Quell’uomo era di animo nobile.»
«Sì, lo era davvero. Io mi chiamo Jason e Carl – o meglio, sir Martin – era mio zio.»
«Jason?» disse, alzando un sopracciglio esageratamente folto che gli diede un aria buffa. «Beh, non ho mai sentito un nome tanto bizzarro!»
«Bizzarro?»
«Certamente. Jason» rise di gusto «che nome strambo.»
«Siete tutti così poco accoglienti da queste parti?»
«No, no.» disse tra le risa. Il fabbro tentò di ricomporsi con scarsi risultati.
«Vieni, entriamo in casa.»
Si tolse il grosso grembiule grigioverde che portava in vita e lo lanciò su una grossa incudine. Aprì la porta della casa mentre stava ancora ridacchiando e, non appena ebbe varcato la porta, urlò: «Mairead!»
Da un’altra stanza giunse una graziosa donna dai lunghi capelli biondi distribuiti in grossi boccoli che le arrivavano fino a metà addome. Indossava una semplice tunica bianca e un grembiule, sporco di sangue.
«È questo il modo di rivolgerti a tua moglie, Gavin Dubhach?» urlò lei, in risposta al marito, mentre si asciugava le mani in un panno. Posò gli occhi su di me e la sua espressione mutò.
«Oh, salve» disse, sfoggiando un gran sorriso che la rese ancora più bella di quanto non fosse quando era entrata nella stanza con un’espressione furiosa.
«Ho urlato il tuo nome perché non so mai dove sei. So bene che la mia amata non merita questo trattamento, ma abbiamo un ospite.»
«Lo vedo. Ma questo» disse voltandosi verso Gavin «è un altro ottimo motivo per non urlare il mio nome come se fossi uno di quei rozzi di Gardeter.»
«Hai ragione mia amata.»
Quell’uomo grande e grosso era stato ammansito da una donna molto più piccola di lui e ora se ne stava a capo basso, quasi contemplasse la terra che stava calpestando.
«Benvenuto, straniero. Sei anche tu un visitatore dalla grotta, come sir Martin?»
«Sì, signora. Sir Martin era mio zio.»
«Era?»
«Sir Martin è morto, Mairead.»
«Oh.» disse la donna accigliandosi. «Mi spiace molto. Ma ora che ne sarà di Bede?» chiese voltandosi verso Gavin.
«Non temere Mairead, troveremo il modo per salvare il regno.» la confortò Gavin prendendola tra le sue grosse braccia. «Lo troveremo.»
Rimasi a guardarli per un po’ prima di interrompere quell’abbraccio consolatorio.
«Ecco, a tal proposito. Mio zio mi ha lasciato una lettera in cui diceva che Lanchestry è in pericolo.»
«Lanchestry, in verità, non è in pericolo. La nazione gode di buona salute e il nostro re è giusto, ma i raccolti negli ultimi anni sono spesso stati distrutti da due draghi.»
«Draghi?»
«Sì. Ne parlavano leggende così antiche che ormai nessuno credeva davvero fossero esistiti. Poi campi bruciati, bestiame rapito o mangiato durante la notte e hanno convinto la gente che forse le vecchie leggende non erano solo storie di fantasia. La conferma giunse un giorno, quando Hidth, un contadino che abita non lontano da qui, raggiunse alcune guardie che passavano vicino alle sue proprietà; era spaventato e tremava, quasi troppo per parlare, ma riuscì a far capire ai soldati che qualcosa non andava. Le guardie lo seguirono e, dietro una collinetta, trovarono i due draghi che combattevano nel campo di grano di Hidth, dopo averlo bruciato coi loro soffi. La voce si sparse e da allora le cose sono molto peggiorate. I draghi sembrano litigare, ma a farne le spese sono i contadini di Lanchestry.»
«E per cosa litigano?»
«Nessuno lo sa. Sono stati quieti e in tranquillità per anni, ma ormai sono due anni che lottano interminabilmente. I campi sono quasi interamente incoltivabili, il bestiame rimasto è molto magro e i contadini a stento riescono a sostenere la richiesta delle città. I tre Re e le due Regine del paese sono riusciti a tenere il popolo tranquillo per ora, ma la situazione si fa sempre più tesa. Se Letif e Ghenda continueranno la loro lotta, tempi bui aspettano Bede. Sir Martin aveva in mente una soluzione, ma da morto non ci potrà aiutare.»
Mairead si schiarì la gola con un colpo di tosse. Quando Gavin la guardò, lei inclinò la testa verso di me. Gavin spalancò gli occhi e rimase immobile.
«Diglielo. Se è il nipote di sir Martin deve sapere tutto quello che succede.»
Gavin sospirò.
«Hai ragione Mairead.» Fece una pausa, come per raccogliere i pensieri e trovare le parole giuste e poi raccontò: «Pochi giorni fa alcune guardie si sono fermate a parlare davanti alla fornace che ho in città. Discutevano delle recenti scorribande di Letif sulle montagne della regione di Feldmill, a ovest. Mentre parlavano, uno dei due si è fatto scuro in volto e, dopo aver controllato che nessuno potesse sentirli, ha sussurrato all’altro che tra le fila dell’esercito reale si vocifera che ai draghi siano stati rubati degli antichi monili o artefatti e che i due si siano accusati a vicenda. Sono solo voci, però e nessuno sa quale sia il vero motivo.»
Gavin guardò Mairead che annuì.
«Nella lettera, mio zio ha detto che io posso aiutare Lanchestry, ma non ho idea di cosa fare. Mi ha detto di venire a cercarti e chiederti di farmi un’armatura, ma poi non ho idea di cosa fare. Non ho mai fatto a botte nemmeno a scuola, lottare contro un drago è impensabile!»
«Non preoccuparti, ragazzo. Anche sir Martin non aveva idea di cosa fare, ma un giorno tornò dalla grotta con un’idea.»
«Quale idea?»
«Non la conosco, purtroppo.» rispose, accigliandosi. «Mi chiese se, in qualità di fabbro dell’esercito, potessi procurargli un appuntamento privato col re. Non fu facile, ma chiedendo al capo della Guardia reale riuscii a far parlare sir Martin con re Thelnet. Il consiglio fu privato: si ritirarono in una stanza, senza permettere ad altri di ascoltare. Una volta usciti, sir Martin e re Thelnet si scambiarono una stretta di mano e si salutarono. Quando tornammo qui mi salutò e fu l’ultima volta che lo vidi.»
La sua voce era rotta dall’emozione. Maired era seduta in un angolo ed era scoppiata in un silenzioso pianto mentre Gavin parlava.
Stavo per chiedere a Gavin cosa avremmo dovuto fare, quando dalle finestre si sentì il suono lontano di un campanaccio. Maired corse verso la porta con gli occhi ancora in lacrime e uscì, lasciando la porta spalancata dietro di lei. Sentii un sommesso «Madre!» urlato da una voce e nient’altro.
Il rumore del campanaccio si faceva sempre più forte, accompagnato da un legnoso cigolio. Poco dopo, i due suoni si fermarono e dalla porta entrò un ragazzo: era piuttosto tarchiato, con i capelli bruni e sembrava avere la mia età.
«Gwyn! Finalmente sei tornato.»
«Scusa, padre. Cedric non aveva le zucchine al bancone, quindi ho dovuto aspettare il carico di metà mattina. Sono piuttosto grinzose, ma sono le migliori che potesse darmi.»
«Capisco. Mettile pure in cucina, poi terminerò di cucinare la zuppa.»
«Perché mamma è scappata di casa?»
«Perché sir Martin, un vecchio amico, è morto, Gwyn.»
«Sir Martin?»
«Sì. Forse non lo ricordi, è passato molto tempo dall’ultima volta che l’abbiamo visto. Era un caro amico e, forse, l’unico che avrebbe potuto risolvere il problema dei draghi.»
«Oh, capisco. Devo andare a cercarla?»
«No. Dev’essere andata al vecchio laghetto. Lasciamola da sola con i suoi pensieri. Quando sarà quasi il tramonto, se non sarà tornata, andremo a cercarla.»
«D’accordo.»
Gwyn rimase accigliato mentre portava i sacchi pieni di frutta e verdura dal carretto in cucina. Poi, mentre portava l’ultimo sacco, mi vide ed ebbe un sussulto.
«Ah! Non ti avevo visto! Chi sei?»
«Molto piacere» risposi allungando la mano «io mi chiamo Jason. Sono il nipote di sir Martin.»
Gwyn rimase immobile a fissare me e la mia mano mentre con entrambe le braccia teneva il pesante sacco di iuta. Ritrassi la mano, consapevole che, con le braccia così occupate, non mi avrebbe mai stretto la mano. Portato l’ultimo sacco, mi fece un gesto invitandomi a seguirlo fuori casa. Titubante lo seguii e lo vidi prendere una grossa corda. Rimasi bloccato dalla paura mentre si avvicinava tenendo in mano la fune con uno sguardo inespressivo. Chiusi gli occhi attendendo che mi legasse. Tuttavia, non successe niente. Riaprii gli occhi e vidi Gwyn che mi porgeva la corda.
«Prendi questa. Dammi una mano a legare il carretto dietro la fornace.»
Ancora incredulo, presi la corda e lo aiutai a portare il carretto di legno dietro la casa e lo legammo saldamente.

Il cielo si stava tingendo di rosa e Maired uscì dal bosco di pini. Aveva gli occhi rossi e gonfi per il lungo pianto e il suo vestito aveva l’orlo sporco di fango. Quando vide Gwyn lo abbracciò amorevolmente e tornò in casa per cambiarsi il vestito.
La zuppa cucinata da Gavin era davvero squisita, ma mi trattenni dal chiedere una seconda porzione: in quanto ospite, mi avevano riservato una prima porzione decisamente abbondante, nonostante le mie proteste per avere tutti porzioni uguali.
«Domani» esordì improvvisamente Gavin mentre cenavamo «partiremo per andare a palazzo. Proveremo a farti incontrare il Re, sperando che sia abbastanza di buon umore per accettare “È il nipote di sir Martin” come motivazione per averti a colloquio. Ci serviranno diverse provviste e due teli dove poter dormire. Prenderemo il vecchio carretto; è un po’ malandato, ma ci permetterà di portare più cose e potremo dormire su qualcosa di rigido, nel caso non trovassimo un luogo ideale per la notte. Ne approfitterò anche per portare in città le armature e le armi della Guardia reale che ho già riparato.»
«Gli serviranno anche degli altri vestiti» disse Gwyn indicandomi con la testa, mentre riempiva un altro cucchiaio con la zuppa.
«Hai ragione, non può certo viaggiare per la regione con quei pantaloni blu.»
Rimase pensoso per un po’, squadrandomi per bene. «Prenderai qualche vestito di Gwyn. Non siete grossi uguali, ma rimboccando un po’ maniche e pantaloni dovrebbero andare bene.»
Gwyn non protestò e continuò a mangiare.
Terminata la zuppa, Gwyn mi propose di uscire un po’ a goderci il fresco della brezza estiva. Nel cielo completamente terso brillavano migliaia di stelle e la radura davanti alla casa, così come la foresta di pini, era illuminata dalla forte luce della luna piena. Tra l’erba volavano le lucciole, che coi loro richiami luminosi cercavano un partner e segnalavano l’inizio della stagione più calda dell’anno.
«Quanti anni hai?» mi chiese improvvisamente Gwyn, mentre eravamo sdraiati nel prato.
«19. Tu?»
«22.»
Il silenzio era rotto solamente dal canto dei grilli e dal tubare delle civette.
«Puoi raccontarmi di sir Martin?» mi chiese.
«Certo. Sir Martin era mio zio. Io però non l’ho mai chiamato sir Martin; anzi, nessuno nel mio mondo lo chiamava così. Aveva tanti nomi: noi della famiglia lo chiamavamo Carl, mentre in altri ambienti era noto come Marcel N. Tannis.
«Era un brav’uomo. Era mio zio in quanto fratello di mio padre e sono sempre stati in buoni rapporti. Quando ero piccolo, passavo le estati in una casa di montagna, la stessa da cui sono arrivato in questa regione. Gli piaceva giocare con le persone, ma non per prendersi gioco di loro, voleva semplicemente che non impigrissero troppo la propria mente e che tenessero sveglio il cervello. “Se il cervello dorme, il corpo è come una scatola vuota” diceva sempre.»
Gwyn rimase in silenzio per un po’. Sembrava pensare a quello che avevo detto.
«Mi piacerebbe visitare il tuo mondo.» disse infine.
«Non lo so. Non sono sicuro tu possa uscire dal tuo mondo per venire nel mio.»
«Per quale motivo? Tu sei nel mio eppure nessuno ti ha invitato.»
«Mio zio ha detto che Bede ha bisogno del mio aiuto. Ho solo risposto alla sua richiesta.»
«Non abbiamo bisogno del tuo aiuto.»
«Tuo padre sembrava di giudizio diverso.»
«Mio padre si fida troppo delle altre persone. Dovrebbe essere più accorto con le persone con cui stringe affari e con le sue conoscenze.»
Rimasi in silenzio. Non sapevo quando sarei dovuto restare ospite di Gavin e della sua famiglia, ma creare attriti con chi mi stava offrendo un pasto e un tetto non mi sembrava una buona idea.
«Credo tu abbia ragione Gwyn. Tuo padre è un bonaccione e io ho sempre pensato che un fabbro dovrebbe essere più burbero. Comunque non preoccuparti. Non ho intenzione di essere vostro ospite per troppo tempo. Non sono nemmeno sicuro di essere la persona giusta per una cosa così importante come salvare un’intera regione.»
Gwyn grugnì in assenso e non disse altro.
Poco dopo si alzò un vento freddo che annunciava un temporale e tornammo in casa.
Maired e Gavin avevano imbottito una tela di lino con del fieno, preparandomi un piccolo giaciglio vicino alla cucina così da non dover dormire sul freddo pavimento in terra.

La mattina seguente venni svegliato dalle prime luci dell’alba che filtravano dal piccolo spazio tra la porta d’ingresso e il pavimento. Gavin si alzò poco dopo di me, andò in cucina e preparò della pappa d’avena come colazione. La servì in tavola e attendemmo il risveglio di Maired e Gwyn. La pappa d’avena era molto saporita, ma non riuscii a godermela fino in fondo: ero piuttosto preoccupato da quello che mi aspettava nelle ore seguenti. Ero lì solo da poche ore e già un tizio bonario ma sconosciuto voleva portarmi di fronte al suo re.
Non ebbi molto tempo per pensare alle mie preoccupazioni: Gavin mangiò la pappa d’avena velocemente, si alzò, prese un grosso sacco verde dalla cucina e mi diede una forte pacca sulla schiena mentre ancora stavo finendo di mangiare.
«Forza! Si parte!»

CENTROSCRITTURE.IT
Nuova Stagione 2024-2025

Riprendiamo il nostro viaggio di esplorazione tra gli autori, le opere, le idee, le tecniche e gli stili della scrittura poetica contemporanea con 10 nuovi corsi da ottobre 2024 a giugno 2025, per un nuovo anno di poesia insieme.

QUARTA STAGIONE 2024-25

​Amelia Rosselli, Pier Paolo Pasolini (a cinquant’anni dalla morte), Edoardo Sanguineti, Dario Bellezza: nuovo ciclo di corsi monografici su autori cardinali della poesia italiana contemporanea. I canoni del Novecento e il problema della canonizzazione attraverso le antologie classiche e recentissime. Una panoramica sui problemi e le idee filosofiche di ieri e di oggi. Laboratorio libero di editing condiviso su testi inediti con pubblicazione. Le idee di poesia e la questione della soggettività e dell’autorialità.

Tutte le lezioni saranno registrate in diretta nel giorno e ora del loro svolgimento, e messe a disposizione degli iscritti il giorno seguente in una sezione dedicata del sito, così da poterne usufruire in ogni momento e senza limite.

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IN PARTENZA:

da martedì 22 ottobre 2024 ore 18
Monografie #5: Amelia Rosselli

Nuovo ciclo di corsi monografici approfonditi su autori fondamentali per comprendere l’evoluzione della scrittura poetica nel Novecento italiano. Tra le quattro nuove proposte, Amelia Rosselli rappresenta un salto decisivo nella concezione stessa della poesia, dal rapporto con la musica alla configurazione dell’ordine testuale in una tensione costante tra rigore formale e inquietudine esistenziale, con esiti unici e insuperabili.

https://www.centroscritture.it/service-page/4-1-monografie-5-amelia-rosselli

Con Laura Barile, Francesco Brancati, Marilina Ciaco, Florinda Fusco, Giuseppe Garrera, Sebastiano Triulzi

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da giovedì 24 ottobre 2024 ore 18
Problemi filosofici. Una mappa

Lo sappiano o no, tutti gli uomini hanno una filosofia” scriveva Karl Popper. Il senso comune, il modo usuale di ragionare, e quindi di esprimersi e di agire, è intriso di idee filosofiche. La differenza sorge quando queste idee diventano problema. È allora che lo sfondo concettuale del nostro stare al mondo emerge – e tutto si complica. Ma in soccorso ci arrivano le riflessioni di coloro che in questa complicazione hanno cercato di fare chiarezza. Primo di due corsi in cui imposteremo e discuteremo insieme i principali nodi filosofici della contemporaneità.

https://www.centroscritture.it/service-page/4-2-problemi-filosofici-una-mappa-1

Con Valerio Massaroni

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da lunedì 4 novembre 2024 ore 18
Canoni di poesia

In un contesto com’è l’attuale in cui la pratica della poesia è diffusa a livello di massa, e la produzione editoriale riflette una ricchezza ed eterogeneità di proposte senza precedenti, cosa merita di essere letto, e cosa di essere scritto? Il famoso festival di Castelporziano del 1979 segna un processo inesorabile di democratizzazione della poesia; il crollo del palco la caduta dei riferimenti forti e dell’autorevolezza pubblica del poeta. Ha senso parlare ancora di canone? Di fatto i tentativi di canonizzazione, pur diversamente orientati, esistono ancora, e le antologie restano il portato essenziale di uno sforzo tanto audace quanto necessario.

https://www.centroscritture.it/service-page/4-3-canoni-di-poesia

con Leonardo Canella, Claudia Crocco, Tommaso Di Dio, Giovanna Frene, Giulia Martini, Vincenzo Ostuni, Daniele Poletti

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«Io sono nato in Sicilia e lì l'uomo nasce isola nell'isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall'aspra terra natia circondata dal mare immenso e geloso».

Luigi Pirandello 28 giugno 1867 - 10 dicembre 1936

Scrittore e poeta, Pirandello è stato uno dei più grandi – se non il più grande – dei drammaturghi in lingua italiana.

Il primo successo letterario arriva con la narrativa, grazie al romanzo Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904. Il libro, non particolarmente amato dalla critica, viene apprezzato dal pubblico e tradotto in diverse lingue.

Dopo la prima guerra mondiale, lo scrittore si immerge in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro, creando capolavori che gli regalano enorme notorietà.

Nel corso della carriera, Pirandello scrisse molte novelle, riunite in varie raccolte al pari delle poesie, sette romanzi e circa quaranta drammi teatrali.

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È strana l’alba vista da qui.
Anche se ormai è più di mezz’ora che l’aurora rischiara il cielo, solo ora sento i raggi del sole che iniziano a scaldarmi il viso.
Ci voleva proprio, questo sole mattutino dopo una notte gelida.
Ma lo sapevamo. Lo sapevamo entrambi fin da quando ci dissero che saremmo stati arruolati che saremmo finiti qui sul Monte Grappa. Solo non sapevamo che sarebbe successo in autunno inoltrato. Un autunno gelido, con neve a coprire tutte le vette che si possono vedere da qui.
Il nostro turno di guardia era cominciato nel migliore dei modi. Finalmente scelti insieme, io e te, migliori amici da una vita. Pensavamo che sarebbe stata la notte migliore di tutto il servizio militare. Avevamo già pianificato tutto: avevamo preparato tre buste di caffè macinato a testa, preparato i mantelli e rubato qualcuno a chi, purtroppo, non era sopravvissuto all’attacco dei giorni scorsi. Tutto era pronto, tutto era preparato ed era solo per noi due.
Quanti ricordi abbiamo risvegliato: la prima volta che ci siamo conosciuti, che era anche la prima volta che avevamo fatto a botte, e tutto per un motivo eccezionalmente stupido: entrambi eravamo convinti che la nostra moneta fosse la più vicina al muro e avessimo vinto a Rimpiattino. Ce le siamo date di santa ragione per nulla: entrambi avevamo ragione ed entrambi avevamo torto; le monetine erano alla stessa distanza dal muro. Ma da quel giorno di tredici anni fa tutto era cambiato. Ci vedevamo tutti i giorni, dopo la scuola. Ogni tanto io ero in punizione per aver risposto male al maestro e venivo messo in punizione, ma sgattaiolavo sempre fuori dalla finestra per venire a giocare con te. Ogni tanto, ma meno spesso, era il contrario: eri tu che fuggivi dalla punizione. Ricordo quando mi facevi ridere durante la messa perché tu ti annoiavi mentre io cercavo di fare il bravo, sotto gli occhi costanti di mia madre che cantava nel coro. Ricordo quella volta che non riuscii a trattenermi mettendo in imbarazzo mia madre: ricevemmo anche una sonora lavata di capo da Don Giorgio quel giorno che ci bandì dall’oratorio per tre settimane e ci cacciò dalla chiesa con un calcio nel sedere ciascuno.
Ricordo le nostre prime cotte e quanto litigammo perché avevamo smesso di vederci tutti i giorni. Ricordo quando entrai in casa tua e tua madre mi bloccò perché “avevi ospiti” in camera, e io feci di tutto pur di disturbarti, lanciando i sassi alla tua finestra fino a che si ruppe e tua madre mi rincorse con la ramazza.
Ricordo quanto piansi al funerale di mio padre. Tutti piangevano quel giorno, in vent’anni dietro il bancone della panetteria si era fatto amico chiunque vivesse nel paese e anche qualcuno che ci era passato solo qualche ora. Tutti piangevano, ma tu piangevi con me. Eri l’unico a farlo in modo diverso dagli altri: tutti piangevano per la perdita di un uomo che avevano conosciuto dietro un bancone, tu piangevi per un uomo che ti aveva fatto da padre dopo che il tuo era morto in un crepaccio quando eri appena in fasce. Ricordo che ad un certo punto, fui io a doverti consolare, a dover trattenere le lacrime e a mostrarti quale fosse la via per ritrovare la serenità.
Ricordo quando restammo in piedi tutta la notte con le nostre fidanzate a ballare e a raccontare storie fino ad aspettare l’alba. L’alba che allora era così diversa da quella che ho adesso davanti agli occhi. Quella era fredda, talmente umida che non appena uscì il primo raggio di sole tornammo di fretta a casa per scaldarci davanti al fuoco. E quante botte prendemmo perché eravamo stati fuori tutta la notte. E che raffreddore ci bloccò a letto per sei giorni!
Ricordo quanto fummo felici quando arrivò la lettera di convocazione del Regio Esercito, quanto piansero le nostre madri e quanto piansero le nostre fidanzate. Promettemmo a tutte loro che saremmo tornati.
Quanto eravamo ingenui.
Pensavamo, come tutti, che il fronte sarebbe stato tranquillo. E lo è stato per qualche tempo. Ma poi gli austriaci attaccarono e noi ci difendemmo bene.
Le acque ora sono tranquille, ma non possiamo abbassare la guardia. Così siamo costretti a fare tutte le notti dei turni di guardia.
Nei dieci giorni di ferma delle armi, questa è stata la nostra prima notte insieme.
Ed è stata l’ultima.
L’ho capito più o meno due ore fa, quando hai smesso di rispondere alle mie domande. Anzi, all’inizio pensavo che ti fossi solo addormentato, stremato dalla terza notte insonne di fila. Quando ho sentito il tonfo sordo del tuo fucile e della tua tazza di caffè che cadevano nella neve, mi sono avvicinato per sistemarti la giacca e offrirti una coperta, ma non sentivo più il tuo respiro.
Le lacrime avrebbero voluto scorrere subito, ma ho dovuto trattenerle per paura che mi si ghiacciassero gli occhi.
Ora che il sole mi colpisce, posso smettere di trattenermi e piangere.
La cosa più triste non è dover terminare il servizio militare da solo, ammesso che anche io non patisca la tua stessa sorte nei prossimi giorni.
La cosa più difficile sarà dover scrivere a tua madre che il suo bambino di appena 18 anni è morto una notte di autunno tra la neve del Monte Grappa e che non avrà mai un corpo su cui piangere.
Com’è strana l’alba vista da quassù.
Ed è ancora più strana ora che ho perso il mio migliore amico, il secondo uomo più importante di tutta la mia vita.
L’alba vista da soli è brutta. Soprattutto se speravi di vederla con il tuo migliore amico dopo tanti anni.
Penso che non adorerò più le albe come le adoravo un tempo.
Penso che da soli non abbia senso guardarle.
Di sicuro, non ha più senso aspettare l’alba se tu non sei al mio fianco ad aspettare con me.

Avevo scritto questo racconto per partecipare alla Sfida di dicembre 2023 del blog Raynor’s Hall, ma poi l’ho scartato, in favore di quest’altro, perché non mi convinceva fino in fondo (di nuovo il tema della morte) e volevo migliorarlo un po’, ma poi, deciso a rimaneggiarlo, mi sono accorto che non c’era nulla che non andasse, era come volevo che fosse.

https://mannivu.wordpress.com/2024/03/20/la-nostra-ultima-alba/

Raynor's Hall · Challenge Dicembre 2023 [chiusa]I racconti Il regolamento è stato leggermente modificato, Leggere con attenzione! Per partecipare bisogna essere iscritti al circolo (è gratuito, tranquilli)!Al seguente link troverete come fare! T…

Fin da quando ho memoria, sono stato affascinato dall’alba.
È una di quelle cose che prima o poi tutti i mezzi di comunicazione raccontano: film, poesie, canzoni… E probabilmente è il fatto di sentirla sempre nominare così spesso che mi ha sempre fatto venire voglia di assistere all’alba.
Ieri, giorno del mio dodicesimo compleanno, rimasi molto contrariato quando, scartando il regalo dei miei genitori, trovai una semplice coperta. Loro ridacchiavano. Io ero confuso.
«Capisco che sono un ragazzo difficile, ho gusti particolari, ma proprio una coperta dovevate regalarmi?»
«Diciamo che» rispose papà tra i risolini «è solo una parte del tuo regalo. Il regalo vero sarà domani.»
«Domani?»
«Sì. Questa sera andiamo da zia Annalisa e potrai restare sveglio tutta la notte per aspettare l’alba.»
«Davvero?»
«Sì, pensiamo che sia il giorno giusto.»
Piansi dalla gioia. E la commozione non mi lasciò nemmeno durante le due ore di viaggio per raggiungere la piccola casa di campagna di zia Annalisa e zio Sergio. Ad aspettarmi c’era anche mia cugina Gilda e la sua ragazza Petra, che avevano preparato una fantastica festa condita dal mio dolce preferito: la torta pere e cioccolato.

Giunse la sera e zio Sergio accese un falò in giardino e portò dei marshmallow da arrostire. Verso mezzanotte, l’umidità e la brezza di campagna richiesero l’uso della mia nuova coperta. Ringraziai mamma e papà per l’opportunità prima che andassero a letto, dato che il giorno seguente dovevano lavorare: ah, la dura vita dell’autista di autobus e della guida museale!
Io, zia Anna, zio Sergio e Gilda restammo a parlare tutta la notte (Petra, purtroppo, dovette tornare a casa perché i suoi genitori non le avevano dato il permesso di restare fuori tutta la notte). Zia Anna mi raccontò tantissime storie di quando mia mamma sgattaiolava fuori di casa per andare a concerti che le erano stati vietati, di quanti fidanzati, ignoti ai miei nonni, abbia avuto. Mi raccontò anche di quella volta che dovette gettare delle scarpe perché sarebbe stato impossibile giustificare del letame, dato che ufficialmente era andata a mangiare a casa di un’amica, mentre in realtà aveva partecipato a una festa in una cascina a qualche chilometro da casa. Dopo anni di sotterfugi, mamma conobbe il ragazzo che sarebbe diventato mio papà. Si sono frequentati per un po’ ed è rimasta incinta di me. Zia Anna ha detto che fin da quando hanno scoperto che sarebbero diventati genitori sono state le persone più felici del mondo. I nonni erano meno contenti, ma comunque l’hanno accudita e l’hanno supportata durante la gravidanza. Il mio parto fu abbastanza travagliato – mamma svenuta per il dolore, cesareo d’urgenza, mia rianimazione perché il cordone ombelicale pare non faccia bene se è stretto attorno al collo – ma ho avuto un’infanzia serena.

Il tempo passò velocemente tra un racconto e una tazza di te. Poi, nel silenzio, Gilda annunciò: «Eccola».
Arrivò l’alba, e mi accorsi di quante cose accadono quando sorge il Sole: l’aria si fa più leggera sulla pelle, ha un odore umido portato in giro dalla brezza che improvvisamente cambia direzione e porta con sé il profumo dei fiori che si svegliano coi primi raggi. Si inizia a sentire il frullare delle ali e il canto dei primi uccelli che si svegliano la mattina e richiamano i loro simili. Anche l’erba emana un profumo diverso, viziato dall’umidità e dalla rugiada che si condensa sulle foglie.
La cosa più sorprendente, però, è sentire il calore dei primi raggi di sole che illuminano le guance, un calore che dà sicurezza e che dà sollievo al cuore.
Anche se io non posso vedere la grande palla di fuoco nel cielo per via della mia cecità, l’alba è un evento eccezionale, che è impossibile da descrivere, bisogna provarlo.

Questo racconto è stato creato per la Challenge Dicembre 2023 del Circolo di Scrittura Creativa Raynor’s Hall.

https://mannivu.wordpress.com/2024/02/12/lalba/

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