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#scandalo

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Dopo il lavoro della commissione, le dimissioni di Allavena e la collocazione “a disposizione” di De Lorenzo, si sperò che la fase calda dello scandalo fosse conclusa. Invece, qualche settimana più tardi, il 10 maggio 1967, il settimanale L’Espresso pubblicò un articolo-inchiesta dal titolo “Finalmente la verità sul SIFAR: 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato”; lo scandalo fu sensazionale, le copie andarono esaurite in mezza giornata. Le informazioni di cui disponeva il giornale provenivano da fonti interne all’Esercito, che avevano a loro volta ricevuto le confidenze di alcuni ufficiali dell’Arma “che si erano trovati a partecipare loro malgrado alle riunioni preparatorie” <97.
La ricostruzione era la seguente: il 14 luglio 1964 – in concomitanza con la caduta del primo governo Moro e le conseguenti consultazioni al Quirinale – il comandante dei carabinieri De Lorenzo, ex responsabile del Sifar dal ‘55 al ‘62, aveva convocato i vertici dell’Arma per consegnare loro una copia del cosiddetto “Piano Solo”, così denominato perché doveva vedere in azione unicamente i carabinieri. Il piano prevedeva la presa di controllo del Paese da parte dei carabinieri e l’internamento di 732 militanti della sinistra politica, sindacale e del mondo culturale italiano. Il piano prescriveva una loro deportazione in Sardegna, a Capo Marrargiu (ove, nel 1990, si sarebbe scoperto che era stata stabilita la base di addestramento della struttura Gladio).
La campagna di stampa continuò per mesi, caparbiamente combattuta dalla volontà democristiana di insabbiare tutto. Nel frattempo, l’11 maggio 1967 il comandante dell’Arma dei carabinieri Carlo Ciglieri affidò un’indagine ministeriale sul tentato golpe del ’64 al generale Giorgio Manes. A settembre 1967, De Lorenzo decise di sporgere querela contro i giornalisti de L’Espresso Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari, per diffamazione. Cominciò in novembre un processo dove, ben presto, “gli accusati si trasformarono in accusatori” <98: nonostante la condanna per i giornalisti, nel corso del processo erano sorte verità inquietanti sull’operato del Sifar (per esempio, si parlò per la prima volta degli
arruolamenti illegali del colonnello Rocca come possibili fiancheggiatori del golpe). Cosa più grave, era stato provato in maniera inoppugnabile che i fatti in questione, ossia la suddetta riunione dei vertici dell’Arma e la distribuzione delle liste di proscrizione, erano avvenuti. La linea difensiva del generale era di aver attuato soltanto delle azioni di prevenzione in vista della crisi di governo. Si cercò ulteriormente di arginare lo scandalo con la creazione di una nuova commissione d’inchiesta, questa volta strettamente militare, presieduta dal generale Luigi Lombardi; la speranza era che questa avrebbe ritrattato, o almeno, ridimensionato il portato della precedente commissione. Questa, nonostante la censura che pose sull’operato di Manes, confermò che il generale aveva effettivamente posto “misure illegali tese ad assumere il comando delle grandi città <99”.
Nel frattempo, scoppiava in parlamento un acceso dibattito sulla formazione o meno di una commissione d’inchiesta parlamentare: l’onorevole Luigi Anderlini, venuto in possesso del testo integrale del rapporto Manes, cominciò a leggerne
pubblicamente le parti censurate <100, tra le reazioni “scomposte, quasi isteriche <101” del presidente del Consiglio: Moro, solitamente compassato, era assolutamente contrario alla formazione di una commissione parlamentare. Tanto che, in Consiglio dei ministri, minacciò le proprie dimissioni se questa avesse dovuto avere luogo <102. La sua paura era che questa avrebbe fatto cadere il governo e che un’ulteriore crisi all’interno della coalizione di centro-sinistra avrebbe portato il Paese ad un’involuzione di destra.
Alla fine, la legislatura uscente si chiuse senza che il parlamento approvasse la costituzione della commissione; al contrario, il nuovo parlamento vide sedere tra i suoi proprio il generale De Lorenzo, senatore neoeletto tra le fila del partito monarchico. La commissione d’inchiesta parlamentare venne infine istituita il 31 marzo 1969, presieduta dal democristiano Alessi. Ma neanche questa volta i lavori poterono svolgersi in pace. Un testimone fondamentale già mancava all’appello: il colonnello Renzo Rocca, morto suicida nel giugno precedente con un colpo di pistola alla tempia; nonostante l’anomalia delle circostanze e l’avanzamento dell’ipotesi di omicidio, l’indagine venne rapidamente chiusa
confermando il suicidio <103. Il figlio del colonello avrebbe poi testimoniato che negli ultimi mesi di vita il padre appariva preoccupato proprio in vista di una sua eventuale deposizione di fronte a una commissione <104.
Nei due mesi successivi, altre due morti molto sospette vennero a turbare i lavori della commissione: il generale Ciglieri (colui che affidò a Manes la prima indagine sul Sifar) perse la vita in un misterioso incidente d’auto e lo stesso Giorgio Manes, il giorno della sua audizione, morì d’un infarto improvviso proprio sulla poltrona della commissione parlamentare <105, a palazzo Madama, appena dopo aver bevuto una tazzina di caffè. Qualche mese prima, egli era stato allontanato dall’Arma ed era stato punito come gli altri ufficiali lealisti che avevano denunciato le illegalità.
Anche il generale Zinza, comandante nel ’64 della legione di Milano, che fu l’unico a testimoniare di aver partecipato alle riunioni di giugno, vide la sua carriera bloccata <106. Al contrario, gli ufficiali coinvolti negli eventi del ’64 ottennero repentine promozioni <107.
Chi voleva una commissione addomesticata poté finalmente essere soddisfatto perché il rapporto della commissione Alessi minimizzava i fatti del ’64 e, anzi, “per sette pagine erano descritte con molta compiacenza le benemerenze militari di De Lorenzo” <108. Le sole conclusioni a cui si giunse furono una timida proposta di riforma del servizio (mai adottata) e la richiesta di distruggere 34.000 dei 157.000 fascicoli illegali del Sifar. Vennero distrutti soltanto nel 1974, dopo che una parte di questi, o tutti, erano già stati fotocopiati.
Aldo Moro, in una delle lettere dal carcere (1978), ricordò così i fatti del ‘64: “Il tentativo di colpo di stato del ’64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare, ma secondo una determinata pianificazione propria dell’arma dei carabinieri, ma finì per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno fortemente dimensionare la politica di centrosinistra, ai primi momenti del suo svolgimento. Questo obiettivo politico era perseguito dal presidente della Repubblica on. Segni, che questa politica aveva timidamente accettato in connessione con l’obiettivo della presidenza della Repubblica. […] Il piano, su disposizione del Capo dello Stato, fu messo a punto nelle sue parti operative (luoghi e modi di concentramento in caso di emergenza) che avevano preminente riferimento alla Sinistra, secondo lo spirito dei tempi” <109.
[NOTE]
97 Cfr. G. De Lutiis, op. cit.
98 Ibidem
99 Ibidem
100 D. Conti, op. cit., pg. 28
101 G. De Lutiis, op. cit., pg. 83
102 Ibidem
103 D. Conti, op. cit., pg. 41
104 Ibidem
105 G. De Lutiis, op. cit. pg 85
106 Ibidem
107 Ibidem
108 Ibidem
109 Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle Stragi, Relazione sulla documentazione rinvenuta il 9 ottobre 1990 in via Montenevoso a Milano, vol. II, doc. XXIII, n. 26, “Memoriale Aldo Moro”, pp. 381-383
Claudio Molinari, I servizi segreti in Italia verso la strategia della tensione (1948-1969), Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2020-2021

https://collasgarba.wordpress.com/2024/08/25/lo-scandalo-sifar-e-il-piano-solo/

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Dopo il vergognoso scandalo Qatar da giorni sui giornali e sulle Tv nazionali, autorevoli giornalisti provano a mischiare tutto e ad attribuire anche a noi, a Sinistra Italiana, la faccenda Panzeri e soci.
Mettiamo ordine:
1. Panzeri e compagnia non hanno mai avuto a che fare con noi, nemmeno un giorno.
(...)

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